Offerte speciali

A novembre inoltrato c'erano ancora 28° nel cuore dell'Oman, in quella stretta fascia arida in cui il grigio delle montagne si mescola al color sabbia del deserto. La luce del tardo mattino unita ad una sorta di foschia o forse, più propriamente, di afa, ci impediva di metterne a fuoco i profili, ma quelle cime poco impervie (per gli standard di Matteo) dovevano essere appena sopra di noi.
Erano le montagne con esposizione a Nord, quindi più fresche e con una roccia più interessante per la scalata, ad essere
la meta principale del nostro viaggio.
Il problema era raggiungerle. Fino a quel momento eravamo passati di sfuggita dal caldo torrido della capitale al fresco di una falesia vicina ad un villaggio, rappresentativa per l'arrampicata da queste parti. Ma l'obiettivo era aprire una via nuova e, prima dell'arrivo dei rinforzi (Simone e Stefano), volevamo individuare almeno la parete adatta allo scopo e il percorso per raggiungerla.
Erano ore che cercavamo di arrivare “dall'altra parte” dello Jabal Shams, la cima più alta del paese, ma le indicazioni di
Google Maps e di altri scalatori che erano stati lì prima di noi, erano piuttosto vaghe. Tipo: “una volta nei pressi dell'unico paesino della zona [degno di essere definito tale], prendere una strada sterrata che sale”.
Ok. Scartando le poche asfaltate e quelle che non salivano, la scelta non era infinita ma la possibilità di impantanarsi da qualche parte, una certezza.
A furia di peregrinare su strade non identificate, tra villaggi ignoti e case sparse, imbroccammo quella giusta, talmente ripida e disconnessa da farci retrocedere un paio di volte. Ma la luce era cambiata e le pareti interessanti, che si vedevano ormai più chiaramente, sembravano proprio essere lassù.
Due casette, forse una terza, più piccola. Una macchia verde, una sorta di mini oasi, in fondo a quelli che sembravano
dei brulli appezzamenti di terra, preparati in vista di una potenziale coltura, e parecchie caprette diseminate qua e là, oltre ad un gruppetto delle più piccoline, protette all'interno di un precario recinto. Non era propriamente un paesino, come avevamo letto da qualche parte, ma una piccola area abitata che ci faceva sentire ospiti e ci esortava all'essere il più discreti possibile.
Parcheggiammo titubanti nell'unico spazio rimasto, in cima alla salita e di fianco ad un mezzo di trasporto blu semi- scassato, non meglio identificato. Pensai potesse servire a portare fin su quelle cisterne d'acqua che si intravedevano sul cassone, indispensabili vista la mancanza di ruscelli nei paraggi, ma mi risultava davvero improbabile che quel furgone malandato potesse percorrere una strada simile.
Appena messi i piedi per terra, sentii un caloroso “Salam” di benvenuto. Era un signore di una certa età, esile e sorridente, con un turbante rosso e il barbone bianco. A tutti gli effetti, il padrone di casa.
Poco dopo si avvicinarono a noi due giovani ragazze, di bella presenza e ben vestite, probabilmente le nipoti. Non erano sorelle ma cugine, a quanto cercarono di dirmi con un inglese appena accennato. Avevano in mano un grosso sacchetto di datteri, che passarono al vecchio e che lui porse a Matteo. Forse, in base alle abitudini locali, non era ammesso che due donne, magari sposate, offrissero direttamente qualcosa ad uno straniero sconosciuto.
“Questi sì che sono Bio e a Km 0!”, pensai ironica: provenivano sicuramente dal loro palmeto. Li assaggiammo e apprezzammo subito, lasciandoci osservare dalle madri delle ragazze, che sbirciavano dalla finestra. Nel vago tentativo di ricambiare degnamente, estrassi dal caos del nostro bagagliaio tre Twix, reduci dal Duty Free di qualche aeroporto e ancora incredibilmente integri. Pensando che, tra le cose buone che avevamo, fosse la più occidentale e difficilmente reperibile da queste parti, li porsi all'uomo con il turbante. Lui non li accettò ma le ragazze, con un bel sorriso, dettero segno di gradimento. Palla al centro!
Mi chiesi se l'uomo li avesse presi nel caso fosse stato Matteo a porgerglieli... Ad ogni modo, ai Twix replicarono con due pacchettini di biscotti, uno al cocco e uno alle fragole, così, mio malgrado, dovetti lasciarli in vantaggio, dato che si stava facendo buio ed era arrivato il momento di piantare la tenda.
Intuite le nostre intenzioni, il vecchio ci mostrò l'angolo migliore del suo appezzamento: terreno morbido, perfettamente
pianeggiante e splendida vista sullo Jabal Shams. Fece cenno che avremmo anche potuto avvicinarci con la macchina, per essere più comodi.
Ci sembrò eccessivo e, con scarsi risultati, cercai di spiegargli che qualche sassolino, dato che avevamo i materassini gonfiabili, non sarebbe stato un problema... Ma niente, rientrò in casa soddisfatto solo quando ci vide ben sistemati. Rimanemmo a bazzicare da quelle parti per un po' di tempo, ce ne andammo per qualche giorno e vi ritornammo con Simone e Stefano, per concludere l'apertura della via che Matteo ed io avevamo individuato.
I giovedì sera, l'inizio del weekend islamico, notai che erano soliti rientrare al villaggio due uomini piuttosto giovani, su

un pick-up nero in ottimo stato e ben attrezzato, reduci da una settimana lavorativa in città. Non mi era chiaro se fossero o meno i mariti delle due ragazze, ma a tutti gli effetti erano il loro collegamento con il mondo: provvedere alle necessità del resto della famiglia, che raramente si concedeva un giro nei bazar o nei souq meno distanti e la cui vita ruotava intorno alle capre e al palmeto, doveva essere loro compito.
Al vederci riapparire, per di più in compagnia, non mancarono di offrirci un altro sacchetto colmo di datteri, e questa
volta lo scambio avvenne da donna a donna... fu la mamma di una delle due ragazze a portarmeli. Ricambiai con una confezione ancora intera di barrette Nature Valley al cioccolato, quelle che sarebbero state perfette da mangiare in parete durante l'apertura di una via... se solo i miei compagni fossero riusciti a capire che fine avessero fatto!
Quella stessa sera, sotto un cielo tanto stellato da sembrare dipinto, ci portarono un assaggio della loro cena: uova
strapazzate con pomodoro e spezie. Praticamente le “Tumatiche Oeuv” piemontesi, piatto che casualmente mangiavo spesso in montagna d'estate, ma in versione omanita: con cannella ed altre spezie orientali. Ancora più buono.
La mattina seguente, finalmente, non era previsto che partissimo all'alba e mentre ci stavamo sistemando, il vecchio si presentò alle nostre tende con un vassoio.
Aveva 4 bicchierini in vetro scuro, un thermos pieno di latte di capra appena munto e ben zuccherato, delle cr êpes fatte in casa ed un sacchettino di panetti morbidi provenienti da qualche panetteria locale, chissà a quanti km da lì. Ci lasciò spiazzati, con un grande sorriso avvolto in un turbante bianco, e proseguì verso la sua oasi.
Per noi era la seconda colazione, ma non potevamo esimerci di fronte a tanta ospitalità e cortesia. Ci prendemmo quindi
una pausa per assaporarla con la dovuta calma, alle prime luci del mattino sullo Jabal Shams, chiacchierando sdraiati sulla nostra coperta a quadretti.
Rientrando dal lavoro nel campo, con una tunica bianca che ben spiccava tra l'azzurro del cielo e il beige del terreno, il vecchio passò poi a riprendersi le sue cose. Lo ringraziammo calorosamente ed insistette per lasciarci crêpes e pane avanzati, nonostante scendere dal villaggio per fare rifornimenti fosse sicuramente più comodo per noi che per loro.
Pochi giorni dopo, completammo e liberammo la via. Era arrivato il momento di lasciare libero il nostro posto nel loro
appezzamento, e mi venne una gran nostalgia.
A scapito delle difficoltà nel riuscire a comunicare, a gesti o a parole, quello che avrei voluto, li salutai come si salutano dei cari amici, con i quali si ha condiviso un'avventura breve, ma che nei ricordi avrà seguito a lungo.
Lasciammo loro le corde statiche che avevamo utilizzato per la scalata, pensando che sicuramente in quel contesto
avrebbero trovato una loro utilità, e una cioccolata italiana, l'unica cosa che ancora richiamava alla nostra realtà.
Con una jeep sovraccarica, imboccammo la ripida discesa di terra arida e asciutta che ci restituiva al resto del mondo, mentre il vecchio e le ragazze ci guardarono scomparire tra i tornanti, facendoci cenno con le mani.


Gli uomini più disposti a mostrarsi generosi son precisamente quelli che non hanno i mezzi per esserlo.
(Joseph Sanial-Dubay)